Napoli, il mega-afflusso senza regole può rivelarsi un boomerang

2022-12-20 11:34:24 By : Mr. Lane Cao

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Non è necessario chissà quale dossier o analisi approfondita. Per accorgersi che Napoli strabocca di turisti basta fare due passi in centro e tenere aperti gli occhi. È finita la zona rossa dei mesi più angoscianti della pandemia, le strade sono invase dai visitatori, e in fondo anche il meteo ci si mette a dare una mano con quello che dovrebbe essere un preoccupante dicembre con le maglie di cotone ma che in fondo, per il turista-tipo, rappresenta il clima perfetto.

È felice il Comune, che dovrebbe arrivare a incassare qualcosa come 20 milioni di euro solo dalla tassa di soggiorno. Sono felici commercianti, ristoratori e albergatori, che nel complesso arriveranno a compilare una mega fattura da circa 250 milioni. È felice l’indotto dell’industria turistica, quella stratificazione gigantesca di settori e figure lavorative toccate, a cascata, dai flussi di viaggiatori in visita alla città.

In un quadro messo così, è facile immaginare che ogni voce critica, se non addirittura contraria, espone il fianco alle accuse di disfattismo e ai rimproveri di nichilismo. Se c’è qualcosa che oggi non va toccato, è il turismo. 

La pena arriva rapida e imperiosa, sotto forma di lettera scarlatta che ogni voce perplessa deve portare appuntata sul petto, o di cartello con la scritta “Cassandra!” che pende dal collo. E in fondo c’è anche da capire, almeno in parte, il vero e proprio entusiasmo che stringe in un solo coro tutte le voci di giubilo. È difficile negare la portata dirompente, soprattutto economica, che l’industria del viaggio contemporaneo si porta dietro. Le città che sono baciate dal favore dei turisti sono città nelle quali circolano molti soldi. E quando si muove il denaro si muove un tessuto dinamico che è sangue e ossigeno per quella città.

Tuttavia, quel tessuto può diventare una cappa troppo stretta al quale restare impiccati. Ed è questa la parte del discorso che non si capisce se Napoli non vuole o non può fare a sé stessa. Se il turismo è indispensabile per dare vigore alle città, contemporaneamente le uccide, un po’ come l’industria dell’auto a Detroit: l’ha fatta vivere, le ha dato forza e notorietà mondiale, ma poi l’ha avvelenata di fumi e malattie. E il mono-discorso trionfalista che celebra a scatola chiusa le glorie del turismo napoletano, i record macinati, gli incassi registrati è un discorso tossico e pericoloso. Perché azzera le prospettive intorno a tutto il resto dei discorsi possibili, cioè quelli che appunto provano a indicare i rischi del sovra-turismo, o del turismo lasciato a questa specie di autoregolamentazione anarchica, come se ci fosse quella famosa mano invisibile alla Adam Smith che tutto sa e tutto controlla.

Ma siccome non esiste nessuna entità sovrannaturale o immateriale che fa in modo che tutto vada per il meglio, se continuiamo a lasciare le cose così come sono stiamo soltanto preparando il terreno per la sparizione della città e del suo centro storico, proprio come è sparita Venezia e come stanno sparendo Firenze e Roma. Perché mai qui da noi le cose dovrebbero andare diversamente? Se c’è qualcuno capace di dimostrarlo con dati obiettivi e incontestabili, ci mettiamo più che volentieri in ascolto. A meno che non ce la vogliamo raccontare, per l’ennesima volta, ricorrendo alla presunta specificità e unicità napoletana, alla sua capacità di resistenza contro le spallate della cattiva modernità, alla troppo rassicurante analisi pasoliniana dei napoletani come ultimi Tuareg capaci di conservare la propria identità e straordinarietà. Quand’è che Napoli aprirà un discorso serio sulla sostenibilità civica del turismo? Stiamo buttando via a pacchi i residenti fuori dal centro storico. Stiamo azzerando negozi e botteghe, rimpiazzati da un unico nastro trasportatore di pizze fritte e sfogliatelle, un po’ come in quei ristoranti asiatici dove ci si siede attorno a un grande tavolo ovale sul quale scorrono i piatti su un piccolo tapis-roulant.

A parte l’apoteosi del denaro, al di là dell’eccitazione per i conti correnti, non è incredibile che la città non abbia mai, ma proprio mai – nelle articolazioni della sua classe dirigente e politica, nella catena dei suoi amministratori e funzionari, e purtroppo anche in una fetta non piccola dei suoi intellettuali e studiosi – sentito l’urgenza di un discorso serio, strutturato e profondo su cosa vuole farsene del turismo e del suo rapporto con esso? Quel cartello marroncino che dice che il centro storico di Napoli è un patrimonio mondiale dell’Unesco, significa ancora qualcosa? E se sì, che cosa? Napoli deve funzionare come una calamita che attrae, nella quale le cose restano e mettono radici. Al momento, il modello è quello invece della vetrina, con la sua scelta di vocarsi al turismo usa e getta. È possibile che sia ancora in tempo per cambiare rotta.