In viaggio con Zara - Imperial Eco Watch

2022-12-20 11:37:46 By : Ms. Rachel Zheng

Ho visitato la Cappadocia almeno 7 volte negli ultimi due anni.

La prima volta per fotografare dall’alto i camini delle fate a bordo della mongolfiera. La seconda volta per fotografare le mongolfiere che si alzano, altrettanto magiche, nella notte aspettando che l’alba illumini il paesaggio. La terza volta ancora mongolfiere. La quarta per fotografare la Cappdaocia sotto la neve ovviamente in mongolfiera. Al quarto viaggio esaurite le mongolfiere ho affittato una macchina e con una cartina stradale mi sono avventurata per la campagna fino al vulcano Erciyes che ho circumnavigato.

Si, nei villaggi della Cappadocia li puoi vedere, sono cani randagi abbandonati a se stessi. Li vedi quando esci da un sito archeologico o quando attraversi Goreme che pullula di turisti e di ristoranti.

Di solito sono femmine con 4 o 5 cuccioli.

Ma è quando attraversi le campagne e i villaggi rurali di poche case che la realtà ti colpisce.

Ho imparato ad attrezzarmi col mangiare per i cani randagi nel bagagliao. Ordino carne, ossi e interiora nella macelleria di Urgup. Ho comprato secchi di plastica per mettere la carne e bacinelle per mangiatoie. Parcheggio la macchina nel parcheggio a ore del centro e giro nei negozi a comprare fino a 200 uova e 10 grossi sfilatini di pane.

La strada è ormai familiare. È quella a curve che porta al vulcano ma mi fermo molto prima di raggiungerlo all’altezza di una miniera ancora in funzione, dove, nelle caverne hanno trovato riparo un branco di cani abbandonati.

I primi ad avventarsi sul cibo sono i cani ancora forti e il maschio Alfa, quello che deve mangiare per primo, ma gli altri hanno troppa fame per aspettare e così eludo i cani forti e faccio arrivare il cibo anche ai cani più deboli, ammalati per colpa della fame.

Dal quinto viaggio in poi ho viaggiato in Cappadocia con una sola macchina fotografica. Ma non ho fotografato quasi nulla. Sono andata in giro soprattutto per sfamare i cani. 

Quel giorno camminavamo Mehmet ed io per Orthaisar. Avevo deciso di affittare una casa con un giardino per ospitare quei cani che volevo togliere dalla strada. Mehmet mi accompagnava per tradurre.

Stavamo scendendo per la strada quando lei sola, soletta, coll’andatura disincantata e nullafacente ci viene incontro. ‘Ma di che razza è?’ chiedo a Mehmet che alza le spalle. Un mantello melange bianco, grigio con sfumature marroni. Un muso lungo e nero, zampe grosse, solide, di un cane che potrebbe crescere grande come la razza più comune da queste parti: il Kangal, un cane pastore selezionato e allevato in Anatolia.

Dal primo momento che l’ho vista ho pensato di adottarla. Ma riuscire a prendere un cane libero che vaga per la strada non é semplice. Mi faccio seguire fino alla prima fontana per dissetarla, poi il cane di una casa esce fuori ringhiando e lei scappa nel dedalo di vicoli del villaggio.

Il giorno dopo compro collare e guinzaglio e giro Orthaisar. La trovo alla fine della giornata nello spiazzo d’erba davanti al bar che gioca. Ho un momento di ripensamento. Sto facendo la cosa giusta? Meglio lasciarla alla sua libertà, al suo girovagare, alla socialità con gli altri randagi come lei, o la restringo e le do una casa e cibo tutti i giorni?

Non so quanti mesi di vita avrebbe avuto davanti a sé… non so come finsce la vita un randagio. Se c’è una scena che mi ferisce è vedere un cane che rovista in un cassonetto o chiede l’elemosina di un pezzo di cibo dal piatto di un turista. Quel pezzetto di cibo è niente paragonato alla quantità di cibo che dovrebbe mangiare quotidianamente un cane, cosa che lo rende dipendente a cercare cibo tutta la giornata.

Prendo Zara e la metto sul sedile posteriore. Adesso il secondo problema è dove farle passare la notte. Non posso farla dormire in albergo con me, pochissimi alberghi accettano cani. Conosco però lo staff e chiedo se qualcuno è disposto a tenere Zara nel proprio giardino per qualche settimana, il tempo per organizzare un posto più stabile.

La seconda notte che passa nel giardino di Ahmed, Zara trova un muretto basso che da sulla strada e scappa.

È la sceonda volta che la perdo e di nuovo mi assalgono i dubbi. Un cane abituato a non avere confini o recinti è giusto ‘addomesticarlo’? Ma Zara è unica, in lei si fondono le razze canine dell’Anatolia, porta con se nel DNA la storia antica di questi posti, di un vecchio rapporto tra cane e uomo che affonda nella pastorizia e nel nomadismo che non esiste più.

Il vulcano Erciyes che svetta oltre i 3000 metri, ha la sommità innevata per buona parte dell’anno. La neve a Primavera si scioglie e bagna i campi sottostanti, rendendoli molto fertili. Oggi ci sono immense distese di colture ma un tempo c’era solo erba con la quale ingrassavano le pecore dei nomadi.

La leggenda dei tempi assiro-babilonesi dice che il Kangal è nato da un incrocio tra il leone e la tigre e tenuto a corte per protezione contro gli animali selvatici. Lo stesso lavoro lo compie per i nomadi attuali, protegge il gregge dagli attacchi di lupi, sciacalli e orsi.

Ho visto il primo Kangal quando sono andata a fotografare i nomadi che abitano sulle montagne alle spalle della costa di Fethyie, e ne sono rimasta incantata. Non avevo mai visto un cane così forte, muscoloso, regale.

Quel giorno Enver aveva caricato l’esterno del pick up con tutti gli avanzi del suo ristorante. Ogni pastore che incontravamo ci invitava a scendere e Enver sfamava i cani con il pane. I cani balzavano sul pane come se fosse stato un cosciotto di agnello. Ancora non capivo.  Avrei dovuto capire quando ha rovesciato il secchio con gli scarti vegetali in terra e i cani ci si sono avventati, ringhiando alle pecore di non avvicinarsi.

Ci sono realtà troppo diverse che si fatica a vedere. Bisogna meditare su ogni dettaglio della giornata, riguardare le foto una ad una per spremerne fuori il significato.

La realtà saltava agli occhi solo che non potevo vederla perché era inconcepibile .. i cani si erano avventati sulle bucce di patate perché erano affamati; nelle foto, infatti, gli noto le scapole scoperte, segno di un cane che non è sfamato tutti i giorni, che cammina con lo stomaco vuoto, sfruttato e non retribuito per il lavoro che fa.

In Europa i cani non lavorano, non fanno niente se non tenerci compagnia e abbaiare a intrusi immaginari eppure vengono sfamati tutti i giorni. È forse solo a causa di un profondo senso di ubbidienza all’uomo che li porta a sopportare la fatica senza ribellarsi mai: scortano il gregge per chilometri attraverso gli altipiani di montagna e dormono senza riparo in condizioni climatiche durissime. Vai a spiegare a una donna nomade che i cani noi li abbiamo allevati per stare in casa, in salotto, davanti al fuoco, sul letto, sul divano, li portiamo in vacanza con la famiglia.

Potrebbero avere un ruolo anche per i nostri pastori italiani. Non conoscono i Kangal in Italia? Non sanno che invece di abbattere lupi e orsi potrebbero proteggere il gregge con un cane? Hanno esportato i Kangal in Africa e si sono rivelati un successo.

Passa un mese intero. Ritorno in Cappadocia.

Zara è rimasta nel giardino di una casa dalla quale non poteva scappare ma era purtroppo confinata da sola. Quando mi avvisano che si è ammalata ho capito che il suo sistema immunitario si era abbassato per colpa della solitudine. Il nostro incontro é dal veterinario che l’ha curata negli ultimi tre giorni. 

Quando adotti un cane succedono un paio di cose incredibili: la prima  è che si crea un legame di affetto dal primo istante, rimani folgorato dalla simpatia, gentilezza e gioia che emana, ti fa riscoprire la generosità in un  legame, l’utopia che cerchi con i tuoi consimili.

La seconda è che dal momento tu vanti una proprietà su quel cane mettendogli collare e guinzaglio improvvisamente il mondo si accorge di quanto è bello, tenero, affettuoso. È lo stesso cane che gli è passato accanto un momento fa ma nessuno l’ha visto, era invisibile. Solo quando è tuo, tu lo sfami, tu dici che quell’animale vale la pena di essere sfamato e salvato allora anche gli altri scoprono che ha un valore..

Quando Zara si perse qualcuno che aveva capito che aveva un grande valore affettivo per me era andato a cercarla su e giù per le strade in motorino, l’aveva trovata e tra la sorpresa di tutti l’aveva riportata in albergo.

Adesso non può più scappare. Dorme con me nella stanza e nessuno fa domande.  Abbaia dalla porta-finestra perché un gatto randagio sta mangiando i croccantini dalla sua ciotola, poi mi giro un attimo e la ritrovo sdraiata sul divano. Come fa un cane randagio abituato a dormire per terra a capire all’istante la comodità di un divano di velluto? I cani, ma tutti gli animali in verità, sono una sorpresa senza fine.

Zara è un cane di un paese fuori della Comunità Europea, per tornare a casa con me deve sottoporsi a quattro mesi di quarantena durante i quali dovrà fare una serie di vaccini, e aspettare che il test del sangue torni negativo dall’unico laboratorio abilitato a farlo ad Ankara.

È una mattinata piovosa a Orthaisar. Mi alzo presto, carico la macchina, mi confronto con un altro guidatore sulla strada migliore. Mi accorgo di non avere nessun tipo di mangiare per i cani nel bagagliaio. Passo da Urgup a comprare scatolette e un pacco da 30kg di croccantini.

Decido di puntare dritto per Antalya e poi seguire la costa fino a Fethiye. Una strada alternativa più breve l’ho già percorsa nel passato, passa per piccoli centri urbani rovinati da un’architettura moderna, post-agricola. Lungo  quella strada non c’è veramente niente d’interessante da vedere. Meglio una strada lunga, nuova, da esplorare.

Sulla strada mi fermo già 4 volte per sfamare cani fermi al bordo della strada.

La superstrada che passa per Konya è a due corsie molto larghe. C’è pochissimo traffico ed è uscito il sole. Ad un tratto vedo un cane di taglia media dal mantello nero e il muso color del rame sul terrapieno della corsia opposta che vuole attraversare la strada. Inchiodo sul bordo. Il mio sacco di croccantini è quasi dimezzato, lo tiro su e più veloce del vento attraverso le corsie e quelle dall’altra parte che vanno in senso opposto. Sento una voce nelle orecchie che mi dice … ‘bella cazzata stai facendo’. C’è gente che viene investita e uccisa perché è scesa a soccorrere un ferito. Forse m’investiranno mentre porto cibo a un cane. Se succedesse la dinamica dell’incidente rimarrebbe uno stupido momento fatale della mia vita, e un enigma per la mia famiglia… ‘cosa stava facendo su questa strada?’  Sangue sull’asfalto e croccantini volati in aria.

Raggiungo il cane dal muso color del rame e accanto vedo che c’è un cucciolo. Sono presa in contropiede. Riverso metà del contenuto di croccantini tra le zolle del terreno, mi allontano per fargli annusare il cibo e poi torno alla macchina.

Ora.. ci vuole un bel coraggio a lasciare per strada una femmina col cucciolo sapendo a cosa sono destinati. Ma non sono organizzata. Non ho collare, non ho guinzagli per prenderli. Questa si chiama impotenza.  Allontanarmi con la macchina è dura. Penso che ogni cane andrebbe salvato ma io non ce la faccio a fare di più… Dovrei comprare una grande jeep e soprattutto avere un posto dove tenerli ma non sono libera, non ho troppo tempo… ne ho poco. Toccare i propri limiti é come un coltello girato nel cuore.

Quella femmina non troverà facilmente cibo. I cani senza di noi sono persi. Sono stati allevati per avere un rapporto con l’uomo, e senza, leggi nel loro sguardo la solitudine dell’animale rigettato, abbandonato,  solo in un mondo incomprensibile dove non sa come difendersi, non sa come alimentarsi, perché non è selvatico, non ha habitat, è un animale domestico a cui l’uomo ha chiuso tutte le porte. Ho dovuto elaborare nella mia testa teorie complicatissime che mi fanno da cuscinetto per l’impotenza che sento, altrimenti soffrirei troppo.

Zara dorme senza pensieri sul sedile posteriore. Potrebbe viaggiare per ore, non soffre la macchina.

Supero Konya, la vecchia capitale dell’impero Selgiuchide. Nel medioevo era il più vasto impero del suo tempo, si estendeva dall’Hindu Kush all’Anatolia e dall’Asia centrale fino al Golfo Persico.  Quella facciata moderna, però, che mi offre mentre passo la sua periferia è sufficiente a non desiderare di visitarla. Fuori da Istanbul l’architettura della Turchia delude molto spesso.

I cartelli stradali che m’indicano Antalya puntano nella stessa direzione del mio navigatore, fortunatamente allineati. La strada non potrebbe essere più facile, dritta, ampia e vuota.

Dietro una curva la polizia stradale ferma le macchine cadute nell’imboscata tesa con l’autovelox. Multa per avere superato il limite di velocità. Qui in Turchia le multe sono così basse che non protesto. Faccio un giro con Zara mentre copiano i dati del mio passaporto e stampano lo scontrino della multa.

Riprendo a guidare. La strada sale, taglia tra le montagne. E qui inizia lo spettacolo. Un mantello fitto di pini copre a destra e sinistra le pareti della catena, un muro di verde impenetrabile per noi, ma un’oasi per la fauna che ci vive. La strada si snoda dove le montagne hanno lasciato un varco da conquistare agli ingegneri. Non deve essere stato facile tagliare una strada su queste montagne. Capisco perché non c’è una strada più diretta per Fethyie.

Sulla sinistra riconosco un campo nomade ai piedi di una pendice erbosa. I nomadi di queste zone non sono esotici, sono poveri. Vivono in tende fatte di plastica blu, grigia, celeste. Hanno il gregge, qualche altro animale, e i cani.

Sulla destra vedo le lapidi bianche di un cimitero musulmano lontano da qualsiasi centro abitato. I morti riposano sotto i pini, nel mezzo della foresta, lontano da tutto. È un bel posto per riposare per l’eternità.

Ai lati della superstrada, a lunghi intervalli, si aprono delle bancarelle di prodotti locali che vendono tè caldo e miele di pino. Ne compro un chilo. Scendo con  Zara. Il ragazzo che mi ha venduto il miele si ritrae al passaggio del cane, non vuole esserne sfiorato, nessun contatto.

Il viaggio dura ore e ho tempo per pensare. Penso a Zara, al fatto che stanotte sarà la nostra ultima notte insieme, per i prossimi quattro mesi non la potrò vedere, crescerà … penso al suo carattere che è così definito, é bastato riempirle lo stomaco che ha subito alzato la testa al sole e alla vita come lo stelo di un fiore annaffiato.

Penso che dovrei tornare per occuparmi dei cani, ma fino a che punto posso aiutarli? Un gigantesco punto interrogativo per me.

Ho conosciuto la storia di Sara Turretta che ha lasciato la sua carriera per creare ‘Save the Dogs’ in Romania, ma io non amo solo i cani, amo i delfini, le balene, le aquile, i falchi, tutti gli animali selvatici.  Non è nelle mie corde ‘salvare’ un cane per rinchiuderlo con tanti altri in un canile in attesa di un’adozione. Sterilizzarli questo si, è la prima necessità e forse al rientro la prossima volta cercherò, se esistono in quel tessuto sociale, persone solidali.

Arriviamo al ristorante-albergo di Enver in tempo per la cena. Ho guidato per circa 11 ore snackando con noccioline e patatine degli autogrill.  Quando arrivano le portate della cena, tutte insieme e tarate per l’immensa fame di Enver, penso che il viaggio di oggi non è iniziato stamattina ma molti anni fa quando per amicizia mi sono creata alleati che oggi, stasera aprono le porte della loro casa a me e a Zara. È una sensazione di fluidità, di scorrimento del viaggio senza intoppi, di portare a compimento un’avventura complicata in assenza di nessuna sicurezza alla partenza, solo improvvisando, saltando d’appoggio in appoggio.

Quando il giorno dopo porto a Kalkan, Zara, il veterinario mi dice che può ospitarla al piano superiore della clinica in una gabbia per la durata della quarantena. Uscirà tre volte al giorno. Un terribile malinteso perché ho creduto che sarebbe stata ospitata in una casa con un giardino. Sono afflosciata come un sacco vuoto su una sedia pensando a come uscirne perché è assolutamente fuori questione lasciarla nella clinica per farla ammalare di nuovo.

Ma poi dall’Olimpo qualcuno scruta in Terra, dalle parti di Kalkan, e mandano un messaggero a ribaltare la situazione.

Si apre la porta della clinica ed entra una donna in shorts, maglietta, sandali con una vistosissima capigliatura rossa, è una inglese. Nessun equivoco se entra in una clinica veterinaria. Vede Zara e comincia a domandarmi da dove viene, dove l’ho trovata. Parliamo di cani abbandonati per strada evidentemente, e mi racconta che ha creato un rifugio a circa 30 minuti di macchina che ospita una quarantina di cani. Paga tutto lei  con i soldi della sua pensione. Due ragazze, volontarie, l’aiutano. Le chiedo se ha spazio per tenere anche Zara.. ‘ si forse, dalla prossima settimana potrei … però a pensarci su bene ci potremmo stringere in macchina e la potrei portare via con noi adesso’…

L’addio a Zara è caotico e velocissimo. In una macchina stipata di sacchi di croccantini per i cani del rifugio, di scatolette per i suoi mesi di quarantena, spingo dentro anche la sua cuccia e le scodelle, come una madre con il figlio che parte in vacanza.

 Zara è sulle ginocchia della giovane volontaria brasiliana quando la vedo l’ultima volta. 

Mi siedo in macchina e mi devo calmare un momento perché è successo tutto in pochi minuti. Non mi rendo ancora conto di come la prospettata prigione per Zara si sia potuto ribaltare con un incontro fortuito nel posto giusto e nel momento giusto. 

Sono nata a Roma. La mia adolescenza è influenzata dal contesto cinematografico nel quale cresco. Dai ventanni in poi lavoro come fotografa in Italia e in Inghilterra lavorando per riviste di subacquea, musica, cinema e reportage. Creo nel 2000 il sito ImperialBulldog dedicato alla diffusione di informazioni sull'ambiente. Il sito usa molte delle foto che ho scattato in giro per il mondo soprattutto quelle foto di natura scattate nei Parchi. Insieme a Domenico (art director del sito) elaboriamo le foto per renderle visualmente più dinamiche e innovative. Adottiamo la stessa tecnica per elaborare le foto subacquee che scatt0 nel 2010 e 2011 in Indonesia. La mostra viene esposta al Museo di Zoologia di Roma a Giugno 2011 dal titolo 'Creature da Amare'. Sono laureata in Politics and International Relations all'Università di Londra. Le mie passioni oltre all'ambiente marino sono la scienza e l'esplorazione.

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